Puoi entrare un po’ più nel dettaglio?
L’aspetto che è più evidente in entrambe gli artisti è la creazione di un mondo e un tempo diversi dai nostri. Innanzitutto non frammentari: sono nuovi mondi ma che ci vengono proposti come finiti. Non sono ipotesi, non lasciano interpretazioni aperte, anzi; sono belli proprio perché “esatti” e finiti. Secondo me è molto bello questo perché c’è sempre il problema della soggettività e dell’interpretazione, con cui l’arte si confronta soprattutto a partire dal Novecento. Invece a volte è bello guardare le cose senza interpretazione, senza dubbi o ipotesi, semplicemente contemplare un nuovo mondo. Una caratterista che si vede tantissimo in Nones, quasi tutte le opere riflettono su questo aspetto, creano uno spazio molto riconoscibile e in cui ci si può muovere. Poi ci sono altri aspetti in comune, ad esempio un impianto “scultoreo” condiviso, il background di Ismaele prima della pittura affonda in quello plastico e Melotti è stato innanzitutto uno scultore. C’è poi l’aspetto geometrico e matematico in Melotti che è già riconosciuto e storicizzato dalla critica ma anche Nones condivide senza dubbio questo approccio. Come ho scritto anche nel testo critico che accompagna la mostra, nella sua pittura tornano questa sorta di “piastrelle”, quasi esercizi di spazio, delle unità che permettono a noi di orientarci.
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